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Sul ritiro del governo turco dalla convenzione di Istanbul

Sul ritiro del governo turco dalla convenzione di Istanbul

Sulla recente uscita del governo turco dalla convenzione di Istanbul e sugli appelli a  organizzare manifestazioni di protesta la Federazione Anarchica Livornese ritiene opportuno intervenire a partire dalle seguenti questioni: le politiche maschiliste del governo turco e degli altri governi che sono rimasti nella convenzione di Istanbul, il rapporto tra movimenti di liberazione e diplomazia, il ruolo del movimento anarchico in queste situazioni.

La convenzione di Istanbul è stata stipulata su iniziativa del Consiglio d’Europa: dopo una lunga trattativa, il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha approvato, durante la 121^ sessione ad Istanbul, la convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Degli stati membri del Consiglio d’Europa, solo la Russia non ha né sottoscritto, né ratificato la Convenzione; degli altri stati, solo una maggioranza ha ratificato il trattato sottoscritto ad Istanbul. Già il fatto che questa convenzione sia stata ratificata da Stati come la Città del Vaticano e da governi come quello polacco ci fa capire quanto illusoria possa essere la sua portata innovativa; inoltre fin dalla sua firma Amnesty International ha sollevato critiche sul testo. Il testo della Convenzione, ad una prima lettura, si rivela prigioniero di una logica binaria che esclude la diversità di genere  comprendendo solo gli standard tradizionali; c’è inoltre da dire che scopo della convenzione è uniformare il sistema di sanzioni previsto dalle varie normative nazionali, quindi la Convenzione non esce dall’ambito poliziesco e giudiziario. Oggi inoltre la crisi economica e la crisi pandemica giustificano le politiche patriarcali di tutti i governi volte a rafforzare la famiglia tradizionale, cancellando le diversità di genere che si muovono al di fuori dello schema binario, scaricando sulla famiglia, e quindi sulle donne, secondo una divisione sessista del lavoro, l’intero peso del lavoro di cura, alimentando la violenza nella società con le politiche autoritarie e repressive. Le manifestazioni dell’8 marzo hanno messo in evidenza come queste politiche siano ben presenti anche in Italia.

Accusare solo il governo turco per politiche che sono ben presenti anche negli altri paesi rischia quindi di tradursi in un’assoluzione per quei governi che continuano ad aderire ad un trattato ipocrita come la convenzione di Istanbul.

Dietro a questo atteggiamento, secondo noi, c’è l’illusione di sfruttare le divisioni esistenti fra i vari governi, l’illusione di poter sfruttare a vantaggio del movimento di emancipazione sociale le contraddizioni della diplomazia.

Per tornare alla questione, riteniamo che sia stato importante, nelle piazze dove ciò si è realizzato,  denunciare, assieme alle politiche dei vari governi, le specifiche responsabilità del governo turco. Ed è per noi fondamentale estendere la critica alle politiche patriarcali e repressive di tutti i governi, che alimentano la cultura della violenza e dello stupro anche all’ombra della Convenzione. Questo per dare una lettura complessiva di quanto realmente avviene, non certo per ridurre la portata politica di un atto che evidentemente non è solo simbolico. L’uscita della Turchia da una convenzione così limitata nell’impegno contro la violenza di genere significa sicuramente un innalzamento del già drammatico sistema di repressione delle condizioni di vita delle donne turche e di tutte le libere soggettività; il disimpegno da un accordo formale significa formalizzare un indirizzo politico sicuramente più aggressivo. Rileviamo tutti i limiti della Convenzione, ma anche il significato politico dell’abbandono dei pur miseri vincoli dell’accordo e sosteniamo le popolazioni che su questa come su altre questioni si oppongono con determinazione alle politiche repressive del governo turco.

C’è da tener presente, inoltre, che il governo turco usa spregiudicatamente le relazioni internazionali per spillare soldi agli altri governi La politica espansionista in Medio Oriente e verso le aree turcofone dell’Asia, unita alla violenta repressione interna, ha dei costi insostenibili per le casse dissestate dello Stato. Erdogan usa quindi come merce di scambio ogni trattativa internazionale, usando lo schema seguito sulla questione dei migranti.

Crediamo che  sia un’importante forma di solidarietà, contro le politiche maschiliste del governo turco, sia combattere contro i rispettivi governi nazionali che portano avanti politiche simili e sostengono il governo turco con finanziamenti e armamenti. L’esperienza storica ha dimostrato che le varie forme di partigianeria per questa o quella potenza imperialista ha portato presto o tardi qualsiasi movimento di emancipazione a ripiegare nella logica della solidarietà nazionale o ad essere duramente represso.

Anche in questa occasione il movimento anarchico ha il compito di non mescolarsi con la politica dei governi, e rimanere ben distinto da chi vuole far schierare il movimento di lotta con uno dei due contendenti. Dobbiamo costruire nei movimenti sociali l’opposizione a tutti i governi, a partire da quello che ci opprime più da vicino, e alla diplomazia, che è il metodo usato dai governi per accordarsi contro i movimenti di massa. Proprio rimanendo ben distinti dalle posizioni autoritarie, sarà possibile mantenere viva l’autonomia dei movimenti e l’internazionalismo proletario.

Federazione Anarchica Livornese

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